L’IMPEGNO DEI GIOVANI PER IL DISARMO NUCLEARE: UN MODO PER RIPENSARE LA PACE E LA SICUREZZA
Quest’articolo fa parte del lavoro di AP in supporto all’implementazione dell’Agenda Giovani, Pace e Sicurezza, come questa è stata definita dalla Risoluzione 2250 (2015) del Consiglio di Sicurezza ONU. Per scoprire di più sul nostro lavoro e leggere gli articoli già pubblicati, visita questa pagina.
Le armi nucleari rendono il mondo più sicuro? Se da un lato le devastanti conseguenze umanitarie di queste armi sono indiscutibili, dall’altro sono in molti quelli che si affrettano ad accettarle come un male necessario. Oltre sette decenni dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, le armi nucleari nel mondo sono circa 14.000, e miliardi di dollari vengono spesi ogni anno per la loro produzione, manutenzione e modernizzazione. Dalle discussioni alle Nazioni Unite ai sondaggi dell’opinione pubblica, le armi nucleari sono sempre più descritte come un meccanismo integrale per la promozione della sicurezza nazionale e il mantenimento della pace internazionale. Tuttavia, questo confonde la definizione di pace e contribuisce a far sentire il pubblico – e in particolare i giovani – lontani dal problema, una percezione derivante dalla mancanza di consapevolezza o dal senso di non poter fare la differenza.
Soka Gakkai International (SGI), il movimento globale buddista dedicato alla pace, ha lavorato per oltre mezzo secolo sul tema dell’abolizione delle armi nucleari. Nel 2007, SGI ha lanciato il “Decennio popolare per l’abolizione nucleare”, una campagna dal basso volta a influenzare l’opinione pubblica internazionale contro le armi nucleari, e a espandere la rete di persone che condividono l’obiettivo comune di eliminarle dal nostro pianeta. Il “Decennio popolare” è un esempio di come la partecipazione e l’impegno dei giovani possono essere usati per promuovere il disarmo nucleare, tema che è indissolubilmente legato alla costruzione della pace.
Cosa spinge i giovani a partecipare? Per rispondere a questa domanda, il “Decennio popolare” ha cercato d’incoraggiare iniziative e azioni locali, spesso guidate dai giovani e finalizzate a creare spazi in cui i partecipanti potessero informarsi sul disarmo nucleare e scambiare apertamente le loro opinioni. La campagna ha mostrato flessibilità e creatività in ogni paese che vi ha aderito, andando a usare quello che ai giovani risultava più interessante. In questo modo, anche se la partecipazione dei giovani è stata maggiore in Giappone, molte attività sono state organizzate anche in altri paesi, tra cui l’Italia, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Malesia e la Tailandia. Queste hanno incluso mostre, seminari, simposi, richieste di petizioni, sondaggi sulla consapevolezza dei giovani e la raccolta di testimonianze di sopravvissuti, tutte con l’obiettivo di sensibilizzare sul problema delle armi nucleari.
Nel 2017, SGI ha poi contribuito un documento tematico sulla campagna al Progress Study delle Nazioni Unite su giovani, pace e sicurezza. Uno dei temi esplorati nel nostro documento era proprio la questione della partecipazione dei giovani, sia in termini di ciò che la facilita sia in termini dei risultati a cui essa porta. I dati che abbiamo utilizzato per quest’analisi includevano i risultati dei questionari completati dai giovani che avevano partecipato agli eventi e alle attività della campagna, e informazioni raccolte attraverso discussioni informali con i coordinatori delle campagna in Italia e Giappone. Il documento ha quindi permesso di portare alla luce diverse importanti lezioni.
Innanzitutto, coinvolgere i giovani è il miglior modo per coinvolgere ancora più giovani. Questo può sembrare ovvio per certi versi, e contraddittorio per altri, visti in particolare molti altri casi in cui il coinvolgimento dei giovani è stato notoriamente difficile. Detto questo, la presenza di giovani che lavorano con passione su di un tema sembra essere il canale più efficace per promuovere gli interessi dei giovani stessi e farli interessare a un problema verso cui si sentirebbero altrimenti distanti. Durante un evento del “Decennio popolare” tenutosi nell’agosto del 2017 a Kanagawa, in Giappone, uno studente universitario ha per esempio osservato:
“Noi non abbiamo davvero l’opportunità di discutere seriamente del [disarmo nucleare]. Agli studenti giapponesi questo non importa, a meno che non compaia in un esame. Quindi, quando [i giovani di SGI] presentano problemi di pace durante gli eventi scolastici, altri studenti sembrano sorpresi. Io stesso sono stato molto ispirato quando ho visto che altri studenti s’interessavo al problema in modo serio.”
In un altro esempio, nel 2017 alcuni studenti universitari dalle regioni di Chugoku e Kyushu, in Giappone, hanno condotto un’indagine di sensibilizzazione sulla pace tra persone sotto i trent’anni di età, raccogliendo 1.198 e 1.163 risposte per località. Agli intervistati è stato chiesto se stavano facendo qualcosa per la pace: la grande maggioranza (70% a Chugoku e 66% a Kyushu) ha dichiarato che avrebbero voluto, ma che in quel momento non stavano facendo nulla di particolare. Alla domanda, cosa incoraggerebbe il loro impegno, oltre un terzo ha indicato “attività organizzate da coetanei” (38% a Chugoku e 32% a Kyushu).
In secondo luogo, i giovani hanno bisogno che la propria partecipazione abbia un significato. Questo può succedere in modi diversi. Un movimento può, per esempio, dimostrare gli effetti tangibili del coinvolgimento dei giovani, oppure inquadrare la loro partecipazione in un modo che rifletta come essi stessi si vedono, ovvero la loro identità. La maggior parte dei giovani che hanno partecipato alle attività del “Decennio popolare” fa’ tutt’oggi parte di SGI: sono quindi buddisti praticanti. Molti avevano in comune il fatto di essere guidati dalla loro fede, che ha fornito la motivazione interiore per agire. Laddove sostenere l’impegno dei giovani può essere una sfida per le organizzazioni che si occupano di pace, per SGI è la fede, con tutta probabilità, il motivo per cui negli ultimi decenni siamo stati in grado di organizzare attività che coinvolgono migliaia di giovani in tutto il mondo.
In terzo luogo, partecipando ad attività concrete i giovani iniziano a cambiare la percezione di sé, da partecipanti passivi ad agenti che contribuiscono alla pace. Per quei giovani che sono stati coinvolti nel “Decennio popolare”, le armi nucleari non sono solo un problema del passato, o limitato ai sopravvissuti; questi giovani sono riusciti a far propria la narrativa del disarmo nucleare e si sono sentiti responsabili di agire. I questionari compilati da chi ha partecipato a mostre, conferenze e seminari hanno rivelato come le persone sono state ispirate a informarsi di più sulle armi nucleari e sul loro impatto, come si sono sentite più vicine al problema e come hanno riflettuto su azioni da intraprendere. Un partecipante a un focus group in Italia ha osservato:
“Ho sempre pensato che alcuni problemi dovrebbero essere affrontati solo da quelli al potere. Grazie [al “Decennio popolare”] mi sono invece reso conto di un problema che mi sembrava rimosso dalla mia realtà, e ho capito come non sia poi così lontano. Ho capito che l’impegno delle persone comuni è di fondamentale importanza e che, se si uniscono, hanno il potere di cambiare la situazione.”
Per ultimo, quando si coinvolgono i giovani in attività di pace, la chiave per il successo sembra essere la creazione di una connessione umana, ancor più di qualsiasi informazione o supporto strutturale che si possa loro dare. Questo punto è diventato evidente attraverso l’importanza di alcuni elementi della campagna, come l’importanza data alla narrazione, il dialogo e le reti di giovani. Sebbene i giovani siano spesso visti come nativi digitali, la verità sembra essere che le nostre connessioni con gli altri, nella vita reale, continuano ad avere un ruolo chiave nell’ispirare all’azione, nel mobilizzare le comunità e nel sostenere un movimento.
Per molti decenni, SGI si è impegnata in attività educative dal basso, per promuovere la pace e in particolare il disarmo nucleare. Questo impegno si basa sulla nostra convinzione che trasformare i modi in cui le persone vedono se stessi, il mondo in cui vivono e le questioni globali siano fondamentali per arrivare a una cultura di pace. Si basa anche sulla convinzione che la pace e il conflitto inizino, prima di tutto, nel cuore e nella mente delle persone. Un elemento di vitale importanza per le nostre attività educative è quindi il mettere ogni persona, e in particolare i giovani, nella posizione di poter sviluppare un senso di responsabilità, di capire che le loro azioni contano. A questo proposito, speriamo che l’esperienza del “Decennio popolare” dia informazioni utili su come i giovani possano essere coinvolti in attività di peacebuilding, dal momento che le loro voci devono far parte del futuro che vogliamo creare.
Anna Ikeda lavora come Program Associate presso l’Ufficio per le relazioni con le Nazioni Unite di Soka Gakkai International.