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Il conflitto Kosovo-Serbia sembra una storia senza fine, da qualunque parte la osserviamo. Mentre gli scontri sociali e politici degli ultimi anni hanno impedito qualsiasi compromesso e accordo, alcuni progetti che hanno coinvolto piccoli gruppi di persone sembrano dimostrare il contrario. Questo articolo presenterà il programma “Serbia e Kosovo: rompere il ghiaccio fra le culture“, che utilizza l’arte e la cultura per migliorare la relazione fra le due parti. Questa iniziativa ha dimostrato di essere estremamente vantaggiosa ed efficace per promuovere percezioni positive e contribuire ai processi di riconciliazione e peacebuilding.
Gli incontri sono stati istituiti dal Comitato per i diritti umani di Helsinki in Serbia come supporto per l’attuazione dell’accordo Belgrado – Pristina, per garantire una copertura mediatica di qualità dei processi di riconciliazione e normalizzazione fra Kosovo e Serbia. L’iniziativa utilizza un metodo di peacebuilding chiamato “lavoro di contatto” basato sul contatto fisico tra giovani delle due parti. Con un bando pubblico, il Comitato sceglie fino a 10 giovani artisti o operatori culturali dalla Serbia e fino a 10 dal Kosovo. Il processo di selezione si basa su alcune domande relative a informazioni personali, opinioni e motivazioni.
Il programma si svolge in due fasi: un tour di studio e lo sviluppo del progetto. Nella prima fase, due gruppi si riuniscono a Belgrado dove frequentano seminari, visitano siti culturali e incontrano artisti e professionisti che lavorano nel campo della cultura. Dopo cinque giorni, il gruppo si trasferisce in Kosovo dove svolge le stesse attività a Pristina e Prizren. Per garantire un elevato livello di scambio tra i due gruppi nazionali, ogni partecipante è accoppiato con un partecipante di nazionalità opposta per tutta la durata dello studio. Alla fine, ciascuna coppia può decidere se sviluppare il progetto finale insieme o separatamente. Dopo le visite di studio, nella seconda fase, il gruppo sviluppa un progetto relativo alle arti e alla cultura che può essere eseguito come progetto dell’intero gruppo o come singolo progettato in coppia.
Nel 2017, il progetto finale era una mostra intitolata “C’è ancora tempo!”, un misto di fotografia, film, poesia e installazioni artistiche. Il significato del nome è evidente, e gli organizzatori della mostra hanno spiegato il suo scopo così:
“Noi, come membri delle giovani generazioni, […] vogliamo dire che c’è ancor tempo per conoscerci – e soprattutto – per vivere e lavorare in pace, senza mai dimenticare il passato, ma con una forte dedizione alla costruzione di un futuro più luminoso per tutti”.
In qualità di partecipante al programma, sono stata coinvolta nella mostra “C’è ancora tempo”. Io e il mio partner kosovaro abbiamo usato la fotografia per mostrare punti di somiglianza nell’architettura kosovara e serba. L’abbiamo chiamata “Sensibilità Comuni”.
Con il progetto, abbiamo deciso di trovare cose neutre che queste due entità hanno in comune. Abbiamo scelto gli edifici. Attraverso le loro differenze, volevamo evidenziare le loro somiglianze nel colore, nella forma o nel simbolo. Un quadro realistico della situazione attuale in Kosovo e Serbia, dove attraverso immagini architettoniche emergono l’arte e la cultura delle città. Quanto distanti o vicini gli uni dagli altripossono sembrare attraverso queste immagini. Gli edifici fanno parte della percezione visiva che, sebbene possa essere oggettiva, dipende dalla scelta dell’osservatore. Possiamo scegliere quello che vogliamo vedere. Noi abbiamo scelto di vedere somiglianze tra Kosovo e Serbia. Ad altri abbiamo voluto chiedere, tu cosa scegli?
Il programma stesso non è stato solo un arricchimento personale, ma è riuscito a promuovere la comprensione reciproca tra le due parti. I risultati del sondaggio condotto due anni dopo la mostra, infatti, hanno mostrato che la maggior parte dei partecipanti ha cambiato la loro visione iniziale sull’altra parte. Persino coloro la cui visione non è cambiata molto hanno pensato che la loro prospettiva “fosse migliorata in termini di qualità, percezione attuale più dettagliata e di come la gente vive, pensa e agisce”. Alla domanda su quanto siano rilevanti questi tipi di progetti, tuttavia, tutti hanno risposto “molto importante.” Inoltre, tutti raccomanderebbero la partecipazione a questo progetto.
L’impatto positivo e significativo del programma deriva dalla possibilità per i partecipanti di sfatare gli stereotipi sull’altro attraverso l’esperienza diretta. Alcune risposte dei partecipanti, provienienti dal Kosovo e dalla Serbia, sembrano confermare questa visione:
“Ho incontrato tante persone fantastiche di Belgrado con un grande cuore ed energia positiva, che ci hanno mostrato che sono anche esseri umani e pensano come noi. Avevamo la stessa energia e voglia di lavorare insieme in un gruppo, di andare avanti e creare cose straordinarie insieme”.
“Mi sono sentito così benvenuto. Non ho mai avuto pregiudizi, ma c’era la sensazione che avrei dovuto rimanere cauto. Ma quando sono arrivato, tutti mi sono sembrati e si sono comportati così bene con me, cercando di accogliermi nel modo migliore. Mi è stato persino offerto un caffè da uno sconosciuto per strada e ho molti ricordi che sono stati fatti solo in pochi giorni. Avrei voluto visitarlo anche prima”.
Questo programma, inoltre, ha aperto nuove strade di comunicazione tra i giovani del Kosovo e della Serbia, dando loro la possibilità di creare un nuovo dialogo all’interno delle loro comunità:
“Prima di arrivare in albergo a Belgrado, noi cittadini del Kosovo abbiamo visto una brutta espressione scritta su un cartellone di fronte al Palazzo del Parlamento, che non ci ha fatto sentire al sicuro. Poi abbiamo continuato a pensare ai problemi nelle relazioni politiche, e temevamo l’atteggiamento dei partecipanti serbi. Quando abbiamo incontrato l’altro gruppo in albergo, invece, il percorso è subito cominciato bene. Sono davvero felice di aver incontrato questa gente.”
Alla domanda “la percezione di Belgrado è cambiata dopo questo progetto?” Lo stesso partecipante ha risposto: “Ho mostrato alla mia famiglia, agli amici, tutto su questo progetto, o viaggio come lo chiamo, e ho spiegato in dettaglio tutto, come collaboriamo, cosa abbiamo fatto insieme, come ci siamo divertiti tanto insieme, quello che abbiamo appreso e il lavoro che abbiamo completato insieme: l’organizzazione della mostra.”
Questo programma, nel lungo periodo, in maniera graduale ma efficace costruisce un pensiero generazionale nuovo. Con soluzioni più aperte, questi giovani hanno un’alternativa di costruire relazioni migliori con i paesi vicini.
“Stavo raccontando la storia del mio viaggio a tutte le persone che mi chiedevano da dove vengo, cioè quasi tutta la gente che incontro. Gli piaceva molto e potevano sentire il mio entusiasmo. ”
“Ho continuato a partecipare al progetto e ampliato la mia cerchia di persone e valori. Sicuramente userei la pratica di visitare sia Belgrado che Pristina perché per la maggior parte di noi è stata la prima volta che abbiamo visitato quelle città e questo ha avuto un enorme effetto”.
Ogni anno, un altro gruppo di 20 giovani partecipa al programma. Entro il 2030, si spera che questi gruppi avranno un impatto ancora maggiore ci saranno più proposte creative per migliorare le relazioni culturali e politiche nonché più volontà di fare cambiamenti positivi.
“Ho confermato l’annoso detto che ‘niente è come sembra’, a cui vorrei aggiungere quanto segue: Quello che si pensa di sapere è solo un frammento dell’intera immagine.”
In conclusione, tutte le parti del progetto citate sono passi fondamentali per la riconciliazione. I processi fondati sull’arte e le esperienze culturali comuni possono essere strumenti efficaci per sensibilizzare e ricostruire le relazioni. Ciò che condividono è l’importanza della componente emotiva, che è essenziale non solo per la riconciliazione, ma per l’intero processo di peacebuilding. Durante tutto il processo di creazione artistica ed esperienza personale si forma un legame tra razionale ed emotivo ed è così che diventiamo consapevoli dei modi in cui percepiamo e anche della possibilità di cambiare il significato di quella percezione. Quindi, nel processo di riconciliazione, l’arte può essere utile in termini di sensibilizzazione reciproca di entrambe le parti del conflitto e da questo punto, di creare un terreno comune per una migliore comprensione.
Possiamo immaginare un mondo in cui i decisori propongono una cooperazione artistica tra le parti in conflitto per favorire le loro relazioni interstatali? L’arte e la cultura possono diventare strumenti essenziali di cambiamento positivo nelle società postbelliche? Forse è il momento di ridiscutere le relazioni internazionali come le conosciamo oggi e iniziare a pensare a soluzioni alternative e più creative.
Vana Filipovski ha un Master in Studi sulla pace e un Master in Politica e gestione culturale presso l’Università di Belgrado. Credendo che l’arte e la cultura possano svolgere un ruolo significativo nei processi di riconciliazione e peacebuilding, ha partecipato ad alcuni progetti di pace in Serbia e all’estero. Vana sta attualmente cominciando un programma di dottorato per analizzare questo argomento in modo più approfondito.