Quest’articolo fa parte del lavoro di AP in supporto all’implementazione dell’Agenda Giovani, Pace e Sicurezza, come questa è stata definita dalla Risoluzione 2250 (2015) del Consiglio di Sicurezza ONU. Per scoprire di più sul nostro lavoro e leggere gli articoli già pubblicati, visita questa pagina
I giovani tunisini sono scesi in piazza nel 2011 dopo che Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante, si è dato fuoco per protestare contro il regime oppressivo dell’allora presidente Ben Ali, che era al potere dalla fine degli anni 80. Oggi, dopo più di otto anni, quegli stessi giovani sono meno impegnati politicamente che mai, come dimostrato dalla loro partecipazione elettorale, ai minimi storici. Alcuni ritengono che questa apatia derivi da una mancanza di fiducia nell’élite politica, causata da una moltitudine di problemi che continuano ad affliggere il paese. In effetti, la Tunisia – l’unico paese ad aver realizzato con successo la transizione democratica in seguito alle Primavere Arabe – oggi si trova ad affrontare una situazione economica disastrosa, instabilità politica e il problema del ritorno di combattenti dalla Siria.
A marzo di quest’anno, la Johns Hopkins School for Advanced International Studies (SAIS) ha organizzato una visita a Tunisi per far luce sulla situazione che i giovani tunisini si trovano ad affrontare. Come parte del gruppo di studio, ho avuto l’opportunità di parlare con vari membri della società tunisina e di documentare le loro opinioni sugli eventi passati, nonché sulla loro visione del futuro. Ho trovato la maggior parte della gente entusiasta e ottimista per la transizione dalla dittatura; tuttavia, è anche evidente che esistono ancora molti ostacoli, e questi incidono sul morale dei giovani tunisini che continuano a lottare per la democrazia.
Trovare lavoro rimane la principale preoccupazione per i giovani, in mezzo a crescenti livelli d’instabilità per l’economia nel suo insieme. Oggi oltre il 35% dei giovani tunisini è disoccupato, con punte che raggiungono quasi il 50% nelle zone rurali. Inoltre, il debito pubblico della Tunisia è aumentato del 30% dall’inizio della Primavera Araba, e l’inflazione ha raggiunto l’8%, il tasso più alto dall’inizio degli anni 90, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI). A seguito della concessione di nuovi prestiti, il FMI adesso sta stringendo la presa sull’economia tunisina, chiedendo il licenziamento dei dipendenti pubblici, che rappresentano circa il 40% della forza lavoro nel paese. Sullo sfondo di questa difficile situazione economica, i giovani laureati tunisini sono sempre più preoccupati per il futuro che li attende nel loro paese. Ed in effetti, durante un incontro alla Southern Mediterranean University, alcuni studenti hanno confermato che cercheranno un impiego altrove, in Europa o nei paesi del Golfo. È quindi molto probabile che la cosiddetta ‘fuga di cervelli’, che la Tunisia sta già vivendo, aumenti esponenzialmente se il governo non sarà in grado di creare più posti di lavoro.
I giovani tunisini continuano poi a essere preoccupati per l’incapacità del governo di rimanere stabile. Molti ritengono che la stabilità, in una democrazia giovane come la Tunisia, sia vitale per la creazione d’istituzioni forti e veramente democratiche; e che, senza queste, lo sviluppo economico sarà difficile da raggiungere. Dalla fine del regime di Bel Ali, tuttavia, il paese ha vissuti vari sconvolgimenti politici. Il partito religioso di Ennahada ha vinto le prime elezioni democratiche del 2011, ma è stato subito rimpiazzato dal partito di matrice laica oggi al potere, Nidaa Tounes. Diversi analisti stranieri che ho incontrato hanno affermato che l’attuale sistema politico è paralizzato da una mancanza di chiarezza, da parte dei partiti politici, sui loro obiettivi, con l’unica eccezione di Ennahada, che ha dimostrato sia la volontà di arrivare al compromesso, sia un’agenda politica coesa. Ennahada continua a essere, infatti, il partito più forte in vista delle prossime elezioni parlamentari (programmate in ottobre 2019), ma rimane anche un’entità politica controversa a causa delle sue radici islamiste e le sue posizioni conservatrici.
Questa tendenza conservatrice ha lasciato molti giovani disillusi e riluttanti a partecipare alla vita politica del paese. Organizzazioni come l’ONG Al Bawsala cercano per esempio di mantenere il fervore nato colla rivoluzione del 2011, condividendo informazioni, soprattutto tra i giovani, riguardo alle attività del parlamento tunisino. Lo fanno, tra l’altro, mantenendo una forte presenza sui social media. Nonostante il lavoro di ONG e associazioni come Al Bawsala, che continuano a fare del loro meglio per promuovere il senso di dovere civico tra le giovani generazioni (che, è importante ricordare, non sono abituate a votare), l’opinione pubblica è in generale ancora molto delusa dalla mancanza di partecipazione politica dei giovani, i quali sono visti come i principali promotori e agitatori della rivoluzione.
Infine, la sicurezza è un tema ricorrente per quasi tutti i giovani tunisini con cui ho parlato. Nel periodo post-rivoluzionario la Tunisia è stata vittima di una serie di attacchi terroristici che hanno causato molte vittime – il primo di questi è avvenuto al Museo del Bardo nel marzo 2015. L’impatto principale del terrorismo è stato sull’economia, che è fortemente legata al turismo. Ma la Tunisia è anche nota per essere il paese con il più alto numero di combattenti stranieri pro-capite, con circa 6.000 combattenti che hanno lasciato il paese per unirsi allo Stato islamico in Siria. I rappresentanti di un’ONG locale che cerca di contrastare l’estremismo violento hanno spiegato che la magnitudine di questo fenomeno può essere collegata alla libertà di movimento che si è venuta a creare in Tunisia dopo la caduta della dittatura. Un’altra spiegazione è legata alla libertà di espressione, anche quella recentemente acquisita: gruppi estremisti che erano stati messi a tacere sotto il regime di Ben Ali hanno, infatti, improvvisamente avuto la possibilità di predicare liberamente e trovare reclute per lo Stato Islamico. Adesso che questi combattenti cominciano a tornare in Tunisia, e che il paese sta cominciando a interrogarsi su cosa si debba fare, i giovani sembrano essere divisi tra chi crede che gli ex-combattenti debbano essere riabilitati nella società e chi invece li vuole vedere rinchiusi. Al tempo stesso, i giovani tunisini sono anche preoccupati che la questione dei combattenti di ritorno possa oscurare questioni più urgenti, soprattutto quelle legate all’economia.
La transizione verso la democrazia non è, ovviamente, un percorso facile: la stabilità di cui i tunisini beneficiavano un tempo è scomparsa, e mentre alcuni potrebbero sentirne la mancanza, molti ricordano ancora come essa fosse il risultato di anni di dittatura da parte di un regime che non era in grado di stare al passo con i bisogni e le preoccupazioni della popolazione in generale, e del numero sempre maggiore di giovani in particolare. È proprio a causa di questa situazione che i giovani sono scesi in strada per rovesciare il regime, un segnale forte che ha dimostrato la loro voglia di cambiamento. Ogni conversazione che ho avuto durante la mia visita in Tunisia conferma che oggi i giovani tunisini sentono ancora il bisogno di prendere in mano la situazione e di aumentare il loro impegno politico; ma le barriere strutturali rimangono in gran parte invariate rispetto ai tempi antecedenti alla rivoluzione, incluso in relazione alla partecipazione economica e politica. Queste dovrebbero quindi essere le priorità da affrontare in futuro, se non si vuole che la popolazione tunisina – giovani e non giovani – venga sommersa da una disillusione che sarà difficile da superare.
Alissa Pavia sta completando un Master in gestione dei conflitti ed economia internazionale presso la Johns Hopkins University of Advanced International Studies. In precedenza ha lavorato per vari think tank e organizzazioni non governative a Bruxelles, concentrandosi su iniziative mirate a contrastare la radicalizzazione, e sul Medio Oriente. Alissa conseguito la laurea presso l’Università di Milano.
Foto: “The Adventures of Daly: Graphic Novel Campaign“, Search for Common Ground, 2019.