SPOSE E NON SOLO: IL RUOLO FONDAMENTALE DELLE DONNE ALL’INTERNO DELLO STATO ISLAMICO
Sebbene sia opinione comune che il terrorismo sia un fenomeno prettamente maschile, in realtà dal Medio Oriente, all’Africa, allo Sri Lanka si vedono sempre più donne (e bambine!) coinvolte in organizzazioni e attività terroristiche. L’utilizzo di donne e bambine da parte di associazioni terroristiche può essere interpretato come una forma particolare di schiavitù in quanto varie forme di coercizione, quali veri e propri rapimenti nonché droghe e alcool, vengono utilizzati per manipolarle. Il livello di coercizione è drammatico, esteso e allo stesso tempo nascosto e poco studiato. Per quanto riguarda le bambine è relativamente facile costringerle ad arruolarsi manipolandole fin da piccolissime. In Siria, si sanno di decine e decine di bambine manipolate e addestrate per diventare armi viventi. In Paesi quali la Palestina e la Corea del Nord, molte bambine sono soggette a indottrinazioni di massa attraverso l’utilizzo di cartoni animati. In Pakistan, centinaia di bambine vengono addestrate a diventare piccole attentatrici suicide. Lo Stato Islamico non fa eccezione: anch’esso, infatti, indottrina bambine fin dalla più tenera età. La situazione è più complessa per le donne. Per quelle che vivono nei territori occupati dallo Stato Islamico, strumenti molto utilizzati sono rapimenti e stupri. Nelle società a maggioranza musulmana, una donna stuprata porta vergogna alla famiglia e deve essere allontanata o addirittura uccisa. Si sanno di casi in Iraq in cui membri affiliati ad al-Qaeda prima ordinavano lo stupro di decine di donne per poi ‘offrire’ loro la possibilità di morire purificandosi attraverso un attacco suicida. Bisogna però anche sottolineare che non tutte le donne sono forzate a diventare ‘terroriste’. Si sa di donne cecene che hanno deciso di intraprendere azioni terroristiche per vendicare la morte del marito o per ragioni politiche. Altre lo fanno per scappare da situazioni insostenibili o per fuggire da una vita vuota e senza senso.
Ruoli e ragioni delle donne nello Stato Islamico
All’interno dello Stato Islamico le donne assolvono ruoli diversi, anche se è opinione comune che diventino solo spose dei jihadisti. Le donne non solo hanno il dovere di essere buone mogli e madri della generazione futura dei jihadisti, ma possono ricoprire altri ruoli: possono essere operative, servire come strumenti di reclutamento spingendo altre donne e uomini ad arruolarsi, operare come squadre di ‘polizia morale’, possono servire come fattori di incitamento alla lotta (spingendo gli uomini a dare di più), come strumenti di copertura, strumenti di finanziamento (essendo vendute come schiave al mercato nero) e infine come strumenti di propaganda.
Rimane fondamentale capire il perché varie organizzazioni estremiste utilizzino sempre più frequentemente donne e bambini. Ci sono indubbiamente ragioni tattiche: donne e bambine insospettiscono meno, dunque sono meno soggette a controlli. Va anche evidenziato un tabù culturale che rende difficile perquisire donne in Paesi a maggioranza musulmana, un fattore sfruttato da al-Qaeda in Iraq in varie occasioni. L’utilizzo di bambine è vantaggioso in quanto la loro immagine giovane e innocente massimizza lo shock nell’audience risultando dunque in un impatto psicologico molto maggiore.
Isolamento occidentale
Chiarito questo rimane da capire il perché una donna nata e cresciuta in Occidente, con un buon livello di istruzione, decida di partire per andare in Siria e arruolarsi nelle fila dello Stato Islamico. I risultati preliminari di questa ricerca sembrano confermare quanto evidenziato nello studio sul gender e lo Stato Islamico pubblicato dall’Institute for Strategic Dialogue, secondo il quale, vari fattori possono aiutare a capire il crescente coinvolgimento delle donne anche occidentali in questa organizzazione: fattori di spinta e fattori di richiamo. I fattori di spinta principali sono: sentirsi isolate socialmente e/o culturalmente, provare incertezza sulla propria identità, sentire che la comunità musulmana internazionale è nella sua totalità violentemente perseguitata, provare sentimenti di rabbia e frustrazione risultanti dalla percezione di inazione della comunità internazionale a fronte di questa persecuzione globale. La sensazione di isolamento culturale e sociale è particolarmente forte per gli immigrati di seconda o terza generazione che possono percepire come molto forte la distanza dalla società in cui vivono ma a cui non sentono di appartenere. Questo sentimento può tradursi in una maggiore vulnerabilità alla propaganda jihadista che sottolinea l’importanza del senso di appartenenza e di comunità.
Alla base dei fattori di richiamo che invece possono spingere una donna occidentale ad arruolarsi nelle fila dello Stato Islamico c’è un rifiuto dell’Occidente e dei suoi valori. Nel momento in cui abbracciano lo Stato Islamico queste donne sentono di avere un ruolo cruciale che consiste nel far sì che grazie a loro l’utopia di un califfato islamico possa un giorno concretizzarsi attraverso le loro funzioni fondamentali di mogli e di madri. In questo giocano dunque un ruolo importante non solo le promesse dell’aldilà ma anche gli incentivi nella vita terrena. Uno di quali, forse il più forte, sembra essere, infatti, il poter trovare, dopo anni di isolamento e solitudine, finalmente una comunità accogliente, un senso di appartenenza forte, la possibilità di fare un cammino comune. Un ulteriore fattore sembra infine anche risultare dalla possibilità di poter avere una vita ‘facile’, un lavoro sicuro e soprattutto poter costruire una famiglia.
Questo emerge chiaramente da un’analisi approfondita della retorica dello Stato Islamico nei cui discorsi le donne vengono valorizzate, non viste come meri oggetti sessuali, ma come madri della generazione futura di jihadisti e vere e proprie guardiane dell’ideologia jihadista. Sebbene la vita reale nei territori controllati dallo Stato Islamico sia molto diversa e molto meno romantica e idealizzata di quanto la propaganda jihadista voglia far credere, l’attrazione che esercita questa organizzazione è ancora molto forte. Sarebbero migliaia le donne che da tutto il mondo hanno intrapreso pericolosissimi viaggi per supportare il Califfato, di cui almeno 550 donne occidentali, per lo più adolescenti (poche superano i 20 anni) che, adescate dalla propaganda jihadista, si sono recate in Siria per diventare parte dello Stato Islamico. Queste donne sono perlopiù partite da Inghilterra, Austria, Francia e Germania ma neppure l’Italia è estranea a questo fenomeno. Nonostante la gravità del fenomeno in questione, tuttavia, ancora poca attenzione è dedicata ad analizzare la crescente rilevanza delle donne nello Stato Islamico e a mettere in essere possibili strategie per bloccare questa spirale di violenza e di morte.
Questo articolo scaturisce da una ricerca sul ruolo di donne e bambini all’interno di organizzazioni estremiste violente generosamente finanziata dalla Fondazione Umberto Veronesi per il progresso delle scienze.