LE OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE ARMI CHIMICHE IN SIRIA: UN RISCHIO PER IL DIVIETO INTERNAZIONALE DI USO DELLA FORZA?
Il 26 giugno 2017, il Governo degli Stati Uniti ha dichiarato di aver ricevuto informazioni su un imminente attacco chimico in Siria da parte dell’esercito di Damasco, minacciando una risposta militare nel caso in cui questo si fosse realizzato. In precedenza, il 28 maggio, il Presidente francese Macron aveva analogamente affermato di voler adottare contromisure comprendenti l’uso della forza contro l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito di Assad.
Le due dichiarazioni hanno fatto seguito all’effettiva operazione militare dello scorso 7 aprile, quando gli Stati Uniti hanno bombardato la base siriana di Shayrat, sostenendo di agire in risposta a un presunto attacco chimico delle forze siriane di pochi giorni prima a Khan Shaykhun. La maggior parte degli analisti ha definito l’attacco degli Stati Uniti come una chiara violazione del diritto internazionale, in quanto compiuto senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e senza ragioni di legittima difesa. Al contrario, la grande maggioranza degli Stati ha condannato l’uso delle armi chimiche da parte di Assad, ma non la risposta armata intrapresa contro di esse.
A livello mediatico, il silenzio della comunità internazionale su questo episodio di uso illegale della forza non ha ricevuto particolare attenzione; a parere di diversi esperti, tuttavia, esso potrebbe contribuire a modificare il diritto internazionale, creando una nuova norma consuetudinaria che consentirebbe agli stati di intraprendere azioni armate in caso di gravi violazioni di diritti umani. Tale assunto presenta quindi il rischio di incrinare il regime di divieto di uso della forza nel diritto internazionale, con conseguenze rischiose per il sistema di pace e sicurezza internazionali. Quanto è dunque possibile che questo scenario si realizzi?
Gli attacchi a Khan Shaykhun e Shayrat e le reazioni della comunità internazionale
Con il bombardamento di Shayrat il 7 Aprile 2017, gli Stati Uniti hanno attaccato per la prima volta l’esercito siriano. L’attacco è stato presentato come una reazione al presunto uso di gas Sarin da parte di Assad in un attacco aereo a Khan Shaykhun nei giorni precedenti. Russia e Siria negano che l’attacco chimico si sia svolto. L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha effettivamente trovato tracce di Sarin a Khan Shaykhun, ma non ha stabilito quale parte al conflitto fosse responsabile per il loro utilizzo.
L’attacco USA è stato criticato come atto di aggressione dalla Siria e dai suoi alleati nella regione, come Russia e Iran. La legittimità dell’attacco è stata affermata per prima dagli Stati Uniti. La risposta più rilevante proviene dagli stati non coinvolti direttamente nel conflitto, che generalmente hanno condannato l’uso di armi chimiche da parte della Siria, ma non l’intervento militare statunitense in risposta.
Il divieto dell’uso della forza nel diritto internazionale e le sue eccezioni
Il divieto dell’uso della forza contro la sovranità Statale è una norma fondamentale della Carta delle Nazioni Unite, che ha tra i principali obiettivi il mantenimento della pace internazionale. Il sistema di jus ad bellum della Carta ONU proibisce l’uso della forza all’art. 2(4) e prevede due eccezioni limitate: l’autorizzazione previa del Consiglio di Sicurezza (art. 42), e la legittima difesa (art. 51).
Gli Stati Uniti non hanno invocato la legittima difesa né ottenuto autorizzazione dal Consiglio di Sicurezza prima dell’attacco Shayrat, che è stato pertanto svolto in violazione della Carta ONU.
Esiste poi una scuola di pensiero – la dottrina dell’intervento umanitario – che sostiene una terza eccezione al divieto di uso della forza, secondo cui un intervento militare sarebbe legittimo anche senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza o necessità di autodifesa, se svolto in risposta a gravi ed estese violazioni di diritti umani. L’intervento umanitario non ha una definizione generalmente condivisa e non è riconosciuto dal diritto internazionale. In ogni caso, si considera applicabile ad atrocità di scala molto estesa, come altri scontri militari che hanno avuto luogo durante il conflitto siriano con armi convenzionali, senza tuttavia provocare le stesse reazioni. Inoltre, non è stato invocato dagli Stati Uniti per giustificare la propria azione. Nel caso di specie, quindi, l’operazione su Shayrat non costituirebbe un intervento con finalità umanitarie, ma piuttosto un episodio di rappresaglia, o contromisura armata, contro l’uso di armi chimiche.
Contromisure armate nel diritto internazionale
Nel caso di illecito internazionale, gli Stati lesi possono adottare contromisure, ma sempre soggette a limitazioni varie, tra cui il divieto di uso della forza. Di conseguenza, le contromisure armate, o rappresaglie, violano il diritto internazionale.
In seguito all’intervento NATO in Serbia nel 1998, è stato affermato che una nuova norma consuetudinaria – che per essere stabilita richiede una prassi costante esercitata nella convinzione (opinio iuris) di agire conformemente al diritto – stesse modificando lo status del divieto di uso della forza nell’adottare contromisure. Secondo questo approccio, le rappresaglie potrebbero essere consentite in caso di gravi ed estese violazioni di diritti umani, sotto stretti requisiti. Tale deroga al regime di uso della forza, seppur sostenuta da diversi stati nel caso dell’intervento nei Balcani, tanto da formare una opinio iuris condivisa, non sarebbe stata in ogni caso in vigore per mancanza di prassi.
A distanza di quasi venti anni, alla luce dell’evoluzione nell’approccio all’uso della forza da parte della comunità internazionale, non si può dire che tale prassi costante di adozione di contromisure armate si sia affermata. Nel giustificare l’uso della forza contro uno Stato, quando non autorizzato dal Consiglio di Sicurezza, è generalmente invocata la legittima difesa, anche in interpretazioni estese del concetto come la legittima difesa collettiva, o preventiva. Per quanto il silenzio della comunità internazionale sull’attacco statunitense in Siria possa essere interpretato come un sostegno tacito alla sua legalità, il ricorso a contromisure armate rimane tuttavia un caso eccezionale, e l’assenza di prassi impedisce la formazione di una deroga consuetudinaria al divieto di uso della forza.
Conclusioni
Le dichiarazioni della comunità internazionale, che ha condannato l’uso di armi chimiche e non la rappresaglia compiuta in risposta, ha sollevato un dibattito su una possibile legittimazione di interventi militari come contromisura per gravi violazioni di diritti umani.
L’assenza di una critica esplicita da parte degli stati, in assenza di un’effettiva prassi, non rischia tuttavia di creare una deroga consuetudinaria al sistema di jus ad bellum stabilito dalla Carta dell’ONU. Piuttosto, il silenzio della comunità internazionale sembra suggerire una certa tolleranza nei confronti di operazioni militari limitate, come quella di aprile a Shayrat, talvolta definite come legittime ma non legali. La mancata condanna di tali violazioni non sembra quindi esprimere un disconoscimento del divieto di uso della forza, la norma fondamentale per la tutela della pace e la sicurezza internazionali.