La negoziazione si è conclusa: il 24 novembre lo Stato colombiano ed il gruppo guerrigliero delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo (FARC-EP), hanno firmato l’accordo di pace definitivo. Tuttavia, la maggioranza dei settori della società colombiana continua ad opporsi. Mentre il 10 dicembre il presidente colombiano Juan Manuel Santos si accinge a ricevere il Nobel per la pace a Oslo, si apre quindi la sfida cruciale dell’implementazione di quanto concordato.
Il nuovo accordo segue al referendum del 2 ottobre, in cui furono sottoposti al vaglio della popolazione gli accordi di pace originali raggiunti dal governo e dalle FARC-EP, relativi al cessate il fuoco bilaterale di un conflitto lungo mezzo secolo, con più di 220.000 persone che hanno perso la vita e 7 milioni di sfollati interni (IDPs). Gli accordi erano stati ufficialmente firmati il 26 settembre all’Avana, al culmine di un processo di mediazione guidato dal governo cubano e durato quattro anni. Con grande sorpresa al referendum ha vinto il NO, risultato che ha segnato una battuta d’arresto all’implementazione di quanto concordato all’Avana, ma non un’interruzione permanente dei dialoghi, che presentano elementi innovativi per altri processi di pace nel mondo.
Il risultato del referendum ha fatto emergere le profonde differenze regionali che caratterizzano la Colombia. Il SI ha vinto nelle zone rurali con alta marginalità sociale, dove il presidente Santos aveva vinto nel 2004, e in quelle maggiormente colpite dal conflitto, dove la pace è stata vista come un’incredibile opportunità di sviluppo e cammino di perdono per interrompere il ciclo della violenza. D’altra parte il NO ha riscosso più successo nelle province che nel 2004 avevano preferito l’ex presidente Álvaro Uribe, il quale aveva definito la firma degli accordi come “una ferita alla pace”. In queste zone meno colpite dalla violenza, più integrate col centro economico e politico del paese, la pace è stata considerata come una minaccia a esclusivo beneficio delle FARC. Inoltre, il marcato disinteresse di una parte consistente della popolazione nei riguardi del conflitto ha determinato il tasso di astensionismo più alto degli ultimi 22 anni.
In questo contesto, un’analisi che punti a prendere il polso della situazione socio-politica colombiana non può prescindere dall’analisi delle radici del conflitto in Colombia, uno Stato che sostanzialmente è in guerra dal momento in cui si è costituito. Questo può permettere una considerazione più precisa e utile delle tensioni ancora irrisolte, nonostante gli accordi di pace, e portare alla luce il bisogno di guardare non solo a quello che succede a livello governativo, ma anche ai bisogni, alle opinioni e alle voci della gente comune.
Alcuni analisti hanno per esempio espresso notevoli preoccupazioni riguardo a certi punti critici, incluso il fatto che il presidente Santos, mentre negoziava con le FARC, promulgava leggi in direzione contraria agli accordi con la guerriglia. Si pensi per esempio al Codice di Polizia, regressivo in termini di garanzia di libertà e diritti fondamentali, e alla legge sulle zone di interesse per lo sviluppo rurale, economico e sociale (Zidres), che aggrava la profonda disuguaglianza derivante dalla concentrazione della proprietà della terra. Aumenta anche la criminalizzazione della protesta sociale: l’implementazione degli accordi di pace si dovrà svolgere mentre crescono le minacce nei confronti di leader comunitari. La versione diffusa dai media ufficiali è che in Colombia non esistono più gruppi paramilitari, ma bande criminali comuni ed estranee a qualsiasi relazione con la forza pubblica. I fatti però dimostrano il contrario ed è su questa base, per esempio, che Human Rights Watch (HRW) ha recentemente emesso un comunicato chiedendo di sospendere la promozione di grado di alcuni generali dell’esercito coinvolti in casi di collaborazione con paramilitari e di “falsi positivi”.
HRW ha anche, e in più occasioni, posto luce sui limiti che gli accordi di pace presentano in materia di giustizia transizionale, in particolare nel garantire che i responsabili di crimini di guerra siano condannati ad una pena adeguata, così come che non possano eludere le responsabilità penali per i crimini commessi dai loro subalterni (la responsabilità di comando).
Nei nuovi accordi, la maggior parte dei punti sponsorizzati dai sostenitori del NO al referendum sembrano essere stati accolti, e sono rilevanti in particolare le modifiche apportate alle restrizioni alla libertà di movimento degli ex guerriglieri. Il fronte di Uribe rimane tuttavia ancora scontento su diversi altri punti, come quello immutato sulla partecipazione politica dei membri delle FARC. In questo caso si è spiegato che la ragion d’essere di tutti i processi di pace nel mondo è che i guerriglieri consegnino le armi e possano fare politica nei limiti della legalità. “Questo processo con le FARC non è un’eccezione, né può esserla. Le FARC hanno un’origine politica ed il loro proposito per il futuro è poter fare politica senza armi”, ha aggiunto il Presidente Santos.
Davanti a questo e ad altri punti, la polarizzazione nel Paese resta forte, così come la convinzione che finché non si risolveranno con politiche economiche e sociali le radici più profonde del conflitto, quest’ultimo si potrà riattivare senza poter parlare di pace credibile. Il tentativo di analisi della Colombia di ieri e di oggi scoperchia, in altre parole, un vaso di Pandora: la sua complessità deriva dall’importanza geostrategica che il paese gioca nelle dinamiche mondiali a causa delle risorse naturali di cui dispone e visto il suo ruolo nell’ambito del narcotraffico.
Il filo della matassa, e la chiave per arrivare a una pace duratura, va quindi trovato nell’ascoltare le voci dei movimenti di base che ogni giorno continuano a farsi domande sul futuro della Colombia, e nel costruire, partendo da queste voci, alternative dal basso. Un buon esempio è la recente visita in Italia di membri della Comunidad de Paz de San José de Apartadò, che, pur essendo a favore della pace, hanno espresso forti dubbi sugli accordi e, in particolare, sulla mancata partecipazione di giudici stranieri nei processi di giustizia di transizione e sul rischio d’impunità per i paramilitari ancora molto attivi in Colombia. La negoziazione degli accordi è finita, ma per il futuro della pace in Colombia rimane imperativo ascoltare le voci dal basso.
Virginia Berni si è laureata in Scienze Internazionali per la Cooperazione e lo Sviluppo presso l’Università degli Studi di Siena ed ha completato il Master ISPI in International Cooperation. È volontaria di Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII.