INTRODUZIONE: L’IMPEGNO DELLE DONNE PER LA PACE IN TURCHIA
A partire dagli anni ’80, il sud-est della Turchia è stato sconvolto da un conflitto, talora violento e talora a bassa intensità, legato alla continua discriminazione subita dalla popolazione curda del paese. Le lotte curde per i diritti fondamentali e per uno status equo di cittadini hanno incluso sia attività politiche di natura pacifica sia forme di insurrezione guidate dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). La violenza politica e lo sfollamento della popolazione curda hanno colpito in modo sproporzionato le donne ed i bambini, contribuendo ulteriormente a peggiorare i già scarsi indici di uguaglianza di genere in Turchia.
Negli ultimi dieci anni, durante i vari tentativi di raggiungere un accordo di pace tra il governo turco, e specificatamente il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (“Adalet ve Kalkınma Partisi” in turco AKP), e il PKK, e soprattutto durante il processo di pace tra il 2013 ed il 2015, le donne sono state sempre in prima linea nel promuovere le iniziative di pace volute dalla società civile, sia a titolo individuale che collettivamente. A questo proposito, la piattaforma Women for Peace Initiative ha riunito in sé una serie di organizzazioni ideologicamente diverse, offrendo opportunità senza precedenti di colmare le persistenti divisioni ideologiche ed etniche tra le organizzazioni femminili promuovendo nuove forme di empatia e solidarietà. Nell’ambito dell’iniziativa, le donne peacebuilder si sono incontrate regolarmente in diverse parti della Turchia per discutere, tra le altre questioni, la riconciliazione interetnica, l’amnistia ai prigionieri politici curdi e le varie modalità di integrazione degli ex guerriglieri nella vita civile, una volta abolita l’ala militare del movimento curdo.
Le mie interviste sul campo con donne attiviste, svoltesi a İstanbul, Ankara e Diyarbakır durante la mia ricerca sui processi di pace tra il 2013 e il 2015, hanno mostrato l’emergere di forme di solidarietà ispirate da una forte visione di una vita senza violenza e conflitti, e dalla convinzione che la pace non può essere raggiunta senza la partecipazione paritaria delle donne provenienti da ogni gruppo sociale.
“Negli ultimi dieci anni, durante i vari tentativi di raggiungere un accordo di pace tra il governo turco, e specificatamente il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, e il PKK, e soprattutto durante il processo di pace tra il 2013 ed il 2015, le donne sono state sempre in prima linea nel promuovere le iniziative di pace volute dalla società civile, sia a titolo individuale che collettivamente.”
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L’INIZIATIVA WOMEN FOR PEACE İNITIATIVE: GENESI, STRUTTURA E IMPEGNO
Un passo importante nella lotta delle donne per la pace in Turchia è stata proprio l’istituzione dell’organizzazione Women for Peace İnitiative (“Barış İçin Kadın Girişimi” in turco). Questa piattaforma comprende sia organizzazioni che singoli individui, esponenti di molteplici opinioni politiche, provenienza sociale, gruppi etnici, retaggio religioso e orientamento sessuale. Tra la sua nascita nel 2009 e il 2012, la piattaforma si è impegnata, da un lato, a sensibilizzare sempre più persone sul tema della pace in Turchia e, dall’altro, a discutere e a documentare la maniera in cui le donne (curde e non) sono state danneggiate dalla guerra e dal conflitto. Durante i processi di pace del 2013-2015, la piattaforma ha organizzato svariati eventi per sensibilizzare la società su questo tema. Ha tenuto numerose manifestazioni e incontri con politici, sindacati e attiviste per i diritti umani, incluse peacebuilder da altri paesi. Ha inoltre organizzato fora in tutto il Paese per discutere con donne di età diverse le loro aspettative per il processo di pace e per spingere il governo turco a elaborare un piano nazionale di pace che garantisse la partecipazione paritaria delle donne.
La piattaforma ha istituito cinque commissioni per lavorare sui temi della pace e della riconciliazione. La Women’s Truth Commission è stata incaricata di concentrarsi sulle molteplici forme e dimensioni di ingiustizia patite dalle donne durante la guerra. La Gender Equality and Constitution Commission si è impegnata a garantire che i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere fossero sanciti dalla costituzione e a discutere le norme legali per il risarcimento dei danni subiti dalle donne a causa del conflitto. La Security Reform Commission aveva il compito di determinare le misure di sicurezza umane necessarie ad evitare che si ripetessero quelle violazioni di cui le donne sono state vittime durante il conflitto armato. La Press and Media Commission si è occupata di richiamare l’attenzione sulle richieste espresse dalle donne sulle questioni di pace. Infine, la Contact and Observation Commission ha osservato e valutato il processo di pace dal punto di vista delle donne, mantenendo i contatti con tutti i gruppi sociali (in particolare con i gruppi di donne) e con tutte le altre parti coinvolte in questo processo.
In generale, l’iniziativa Women for Peace İnitiative voleva sottolineare come, per essere giusto e sostenibile, il processo di pace dovesse collocarsi all’interno di un quadro giuridico ben definito, e includere le donne in modo paritario in qualità di negoziatrici, mediatrici e osservatrici. Ha quindi cercato di impegnarsi per la pace progettando un’azione comune e creando un linguaggio condiviso tra le donne, capace di superare le divergenze politiche, ideologiche, etniche e di altro tipo.
“l’iniziativa Women for Peace İnitiative voleva sottolineare come, per essere giusto e sostenibile, il processo di pace dovesse collocarsi all’interno di un quadro giuridico ben definito, e includere le donne in modo paritario in qualità di negoziatrici, mediatrici e osservatrici.”
Durante un’importante conferenza dal titolo “Le donne assumono un ruolo attivo nel processo di pace”, tenutasi presso l’Università Boğaziçi di Istanbul nel maggio 2013, l’Iniziativa ha presentato una lista di richieste. Facendo riferimento alla Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la piattaforma ha chiesto al governo turco di elaborare un piano nazionale che presentasse le modifiche da apporre alla costituzione in modo da garantire l’uguaglianza di genere in tutti i settori della vita. Inoltre ha richiesto il riconoscimento dei crimini politici passati contro i curdi, la condanna di coloro che si sono resi responsabili di stupri e altri crimini sessuali durante la guerra, in prigione o sotto custodia, il risarcimento dei danni di guerra, il ritorno degli sfollati nei villaggi che sono stati svuotati con la forza all’inizio degli anni ’90, l’identificazione delle fosse comuni e il riconoscimento delle perdite subite dalle donne. Inoltre le attiviste di Women for Peace Initiative hanno chiesto riforme nel settore della sicurezza che tenessero conto del genere e delle esigenze dei bambini, hanno preteso percorsi di formazione sulle tematiche di genere per coloro che lavorano nell’amministrazione civile e il rilascio di tutti i prigionieri politici. Hanno anche insistito sul fatto che i comitati e le commissioni relative al processo di pace dovrebbero sempre includere un egual numero di donne e di uomini, e che dovrebbero cooperare con le organizzazioni di donne, integrando la dimensione di genere in tutte le discussioni.
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CONCLUSIONE: NAVIGARE IN UN CONTESTO DIFFICILE
Nessuna delle richieste presentate dalla Women for Peace Initiative è stata presa in considerazione dal governo turco sotto la guida del partito AKP. Il partito si è completamente rifiutato di affrontare le questioni inerenti la giustizia di transizione, insistendo sul fatto che tutti i crimini erano stati commessi prima della sua salita al potere nel 2002 e che non c’erano state violenze durante il suo mandato.
In retrospettiva, l‘Iniziativa ha avuto un successo limitato nell’assicurare che le questioni di genere fossero integrate nel processo di pace; ciononostante il suo impatto, a livello socio-politico, è andato ben oltre questo semplice risultato. L’esperienza di Women for Peace Initiative ha dimostrato che le divisioni politiche e ideologiche hanno certamente una notevole influenza su come gli individui si approcciano alle questioni di pace, ma anche che il dialogo può essere efficace nel superare le differenze e costruire alleanze volta alla promozione della pace. L’iniziativa ha creato spazi di scambio, solidarietà e cooperazione, che si sono purtroppo ridotti drasticamente dopo il fallimento del processo di pace. Il conflitto, riaccesosi nel sud-est della Turchia, ha esacerbato e reso ancora più profonda la polarizzazione della società turca e accentuato la mancanza di fiducia reciproca, colpendo anche la cooperazione femminista turco-curda. Molte organizzazioni di donne sono state chiuse dallo Stato dopo il fallito colpo di stato del 2016; molte altre sono state costrette a mantenere un basso profilo per evitare di essere anch’esse ufficialmente bandite.
Il fallimento del processo di pace e gli sviluppi politici verificatisi in Turchia a partire dalla metà del 2015, in particolare la repressione delle attiviste per la pace e per i diritti umani, hanno dimostrato che le alleanze tra donne volte alla promozione della pace, per quanto importanti e attive, non possono sperare di ottenere molto senza il sostegno dei partiti politici, e soprattutto delle parti in conflitto. Ciononostante, l’impegno delle donne per la pace e la giustizia è durato a lungo. A questo proposito, la risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha fornito sia un quadro di riferimento sia un’ispirazione duratura per le lotte delle donne nel loro tentativo di porre fine al violento conflitto in Turchia e di partecipare in modo paritario nel peacebuilding. Le donne hanno adattato alle esigenze locali e applicato in modo creativo i principi della Risoluzione 1325 e, una volta che hanno trovato il modo di allinearsi all’agenda globale femminista per la pace, hanno acquisito anche un senso di empowerment, ovvero di poter fare la differenza come protagoniste.
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La Dott.ssa Ina Merdjanova è ricercatrice e assistente universitaria al Trinity College di Dublino, in Irlanda, e visiting professor alla Coventry University, nel Regno Unito. Ha a suo credito un ampio numero di pubblicazioni sulla religione e la politica, le donne, le minoranze e il peacebuilding nei Balcani e in Turchia.
Questo articolo è stato pubblicato sotto l’egida del progetto Enhancing Women’s Participation in Peace and Security (WEPPS), il cui obiettivo è quello di rafforzare l’efficacia e l’impatto dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza in Italia, Nord Africa e nei Balcani occidentali. Il progetto WEPPS è realizzato dal gruppo ERIS (Emerging Research in International Security) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Agenzia per il Peacebuilding. È finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.