DONNE, PACE E SICUREZZA IN KOSOVO: L’EMANCIPAZIONE ATTRAVERSO LE TRAME DELLA TRADIZIONE

INTRODUZIONE: UNA NUOVA ENTITÀ, UNA NUOVA AGENDA

Il 31 ottobre 2000, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato laRisoluzione 1325 su Donne, Pace e Sicurezza (DPS), riconoscendo definitivamente che un progetto per la costruzione di un mondo pacifico, sviluppato e giusto non può escludere le donne. La risoluzione ha stabilito che le donne devono avere un ruolo più forte e incisivo nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nonché nelle operazioni di peacebuilding, rivolgendosi agli Stati Membri per intraprendere iniziative nel campo legislativo, finanziario, giudiziario, tecnico e logistico.

Quel giorno il Kosovo faceva ancora i conti con le conseguenze della guerra. L’anno prima, gli Accordi di Kumanovo avevano concluso la Guerra del Kosovo (1998-1999), e il 10 giugno 1999, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU adottava la Risoluzione 1244, istituendo la Missione dell’ONU in Kosovo (UNMIK) per fornire assistenza umanitaria e per appoggiare un processo di lungo termine di peacebuilding, sicurezza e sviluppo. La nascita di una nuova entità rappresentava dunque l’opportunità per cominciare la ricostruzione sociale sotto la guida della Risoluzione 1325 e l’occasione di dimostrarsi all’avanguardia circa il modo di affrontare questa sfida, assicurando sin dall’inizio una più forte partecipazione delle donne. Quando si riflette sui progressi nell’implementazione dell’Agenda DPS, occorre considerare il Kosovo sia da un punto di vista storico che culturale. Da un lato, in un territorio senza un preesistente quadro istituzionale, UNMIK ha posto le fondamenta per lo sviluppo di istituzioni democratiche, nonché per la ricostruzione socio-economica.

Oggi il Kosovo è una giovane repubblica con uno status indefinito: il 17 febbraio 2008 ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia, ma deve ancora essere pienamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Inoltre, molti problemi irrisolti di natura politica, economica e sociale continuano a ostacolare il paese. Dall’altro lato, il contesto culturale ha avuto una forte influenza su come il Kosovo ha affrontato l’emancipazione femminile. In particolare, la società kosovara è stata tradizionalmente caratterizzata da una struttura patriarcale che escludeva le donne dall’educazione e dalla vita sociale (specialmente nelle aree rurali). Una cultura a tal punto legata alla tradizione, da comportare ancora estreme e paradossali conseguenze: migliaia di donne vittime di stupro durante la guerra sono, infatti, tuttora considerate causa di disonore per le loro famiglie, condannate dal comune sentire a un perpetuo silenzio.

La nascita di una nuova entità rappresentava dunque l’opportunità per cominciare la ricostruzione sociale sotto la guida della Risoluzione 1325 e l’occasione di dimostrarsi all’avanguardia circa il modo di affrontare questa sfida, assicurando sin dall’inizio una più forte partecipazione delle donne.

 

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IL PIANO DI LAVORO 2013-2015: NUMERI POSITIVI, REALTÀ COMPLICATE

Il Kosovo ha cercato di integrare la prospettiva di genere nel suo quadro legale e istituzionale sin dall’inizio della sua trasformazione e modernizzazione post-bellica, ancor prima della nascita del suo primo governo nel gennaio 2008: si vedano a titolo d’esempio la prima Legge sull’eguaglianza di genere del 2004 e il Programma del Kosovo per l’Eguaglianza di Genere (PKEG) per il periodo 2008-2013. Un passo avanti è stato compiuto con l’adozione del Piano di Lavoro (PL) 2013-2015, un Piano Nazionale di Azione per implementare la Risoluzione 1325 e il PKEG. Ufficialmente approvato nel gennaio 2014, le attività per la stesura e attualizzazione del Piano sono state iniziate nel 2013 sotto la guida dell’Agenzia per l’Uguaglianza di Genere del Kosovo, in collaborazione con altri ministeri, istituzioni giudiziarie, organizzazioni della società civile, media e diversi gruppi di interesse, e con il supporto dei partner internazionali, come UN Women e l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (OHCHR). È stato così istituito un Gruppo di Lavoro di 28 membri in modo da essere ampiamente rappresentativo, inclusivo, multi-settoriale e trasparente, e di fornire un testo accettabile da tutti gli stakeholders.

Il progresso, in termini di eguaglianza di genere e partecipazione delle donne, può essere analizzato guardando ai dati del Piano di Lavoro 2013-2015 e paragonandoli con le più recenti informazioni. Per quanto riguarda la rappresentanza politica in Parlamento e nelle assemblee locali, la presenza delle donne è garantita dalla Legge sulle elezioni generali e dalla Legge sulle elezioni locali attraverso una specifica quota (30%): attualmente, dopo le elezioni politiche del 2019, 39 su 120 deputati sono donne (33%). Tuttavia, il loro posizionamento nei ruoli decisionali mostra un significativo squilibrio in favore degli uomini e molte barriere permangono per raggiungere una partecipazione equa. Questa situazione influisce sulla struttura dei partiti politici dove la percentuale delle donne nelle posizioni di leadership è ancora bassa (dal 10% nel 2013-2015, a una media del 20% nel 2017); inoltre, la copertura mediaticadei dibattiti politici dà meno visibilità ai candidati donne rispetto ai candidati di sesso maschile. Di conseguenza, la percezione pubblica di quanto partecipino le donne rimane bassa. Di fatto, secondo una prima valutazione del PKEG, pubblicata nel 2016, il programma non ha contribuito ad un miglioramento dell’immagine e della rappresentazione delle donne nei media.

Una condizione simile può essere trovata al livello esecutivo e nella pubblica amministrazione: i meccanismi per conseguire l’uguaglianza di genere sono stati previsti e hanno provocato un incremento del numero delle donne negli uffici pubblici, i cui effetti sono tuttora visibili. Tuttavia, le donne continuano a subire svantaggi in termini di posizioni manageriali (una media del 31% a livello centrale e locale nel periodo di riferimento 2014-2016). I soli esempi virtuosi sono la Presidenza della Repubblica, dove la prima donna Presidente, Atifete Jahjaga, fu designata nell’aprile 2011, con uno staff composto da cinque donne e quattro uomini; e la prima donna sindaco, Mimoza Kusari Lila, eletta nel Comune di Gjakova nel 2013.

Similmente, possono trovarsi trends contraddittori in altri settori. Nel sistema giudiziario, per esempio, alcune Corti presentano una maggioranza di giudici donne, ma solo poche raggiungono le posizioni apicali. Un buon andamento, invece, è stato registrato nell’implementazione della partecipazione delle donne ai processi di peacekeeping e peacebuilding: secondo il Working Plan, il 67% delle iniziative previste è stato completato e attualmente il 30% del servizio per gli affari esteri è composto da donne. Allo stesso tempo, altre attività connesse alle missioni di peacekeeping e peacebuilding all’estero sono state differite in quanto l’attuale status internazionale del Kosovo impedisce di inviare rappresentati. Nella Polizia nazionale, malgrado il significativo crescente numero di donne, queste continuano a essere discriminate, specialmente nell’ambito dello staff in uniforme: infatti, facilmente rassegnano le dimissioni dal loro ruolo a causa delle inadeguate condizioni di lavoro, la mancanza di sicurezza e le poche opportunità di promozione; un ambiente lavorativo non amichevole, con delega di funzione e svilimento dei valori femminili.

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LA PROSPETTIVA LEGISLATIVA E ISTITUZIONALE

Una valutazione complessiva circa l’implementazione dell’Agenda DPS mostra che ci sono stati progressi nella legislazione concernente i diritti delle donne e l’eguaglianza di genere: si vedano, a titolo di esempio, la Costituzione (2008), la Legge contro le discriminazioni (2004), la nuova Legge sull’eguaglianza di genere (2015), e la Legge sulla protezione dalla violenza domestica (2010). Il nuovo stato kosovaro ha anche cercato di adattare il suo ordinamento giuridico al diritto internazionale, principalmente alla Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (CEDU), e l’Acquis Communitairedell’Unione Europea.

Simili sforzi sono stati fatti per quanto riguarda le politiche e le strategie, attraverso l’adozione del Programma Nazionale di Lavoro Anti-traffico, del Piano di Lavoro per l’Emancipazione Economica delle Donne, e della Politica sui Diritti Umani e l’Eguaglianza di Genere prevista dal Ministero delle Forze di Sicurezza del Kosovo. Queste politiche hanno portato ad alcuni miglioramenti: il numero delle donne imprenditrici e proprietarie di immobili è cresciuto, mentre progressi sono stati registrati nella riduzione del tasso di analfabetismo femminile. Allo stesso tempo, è necessario un maggiore impegno con riferimento al settore della sicurezza.

Importante è come il Kosovo abbia predisposto un quadro istituzionale composto da enti pubblici e della società civile, nazionali e internazionali, con l’esplicita missione di promuovere le questioni sul genere, proteggere i diritti umani e legittimare le donne: il Parlamento e la sua Commissione interna, l’Agenzia per l’Uguaglianza di Genere, la Forza di Sicurezza del Kosovo, l’Ombudsperson, UN Women, UNDP, l’OSCE e la KFOR (la missione di pace NATO) hanno tutti partecipato allo studio del contenuto e alla stesura del Piano di Lavoro. La KFOR ha anche organizzato, nel 2018, la “Conferenza Internazionale su Donne, Pace e Sicurezza” per creare una piattaforma dove le istituzioni internazionali e locali e le organizzazioni della società civile potessero discutere di argomenti connessi al genere con un focus sulla sicurezza e le generazioni più giovani.

Le organizzazioni della società civile meritano una menzione speciale per il loro forte impegno nell’implementazione della Risoluzione 1325 e nel supporto all’inclusione della voce delle donne nelle istituzioni, e in svariate strategie e programmi di sviluppo. Ad esempio, la Kosovo Women’s Network raccoglie centinaia di membri, organizzazioni rappresentative delle donne da tutto il Kosovo e di tutti i gruppi sociali, politici ed etnici, e coordina i loro sforzi per aumentare la consapevolezza delle donne circa il loro ruolo nello sviluppo della società e nel contributo ai processi di peacekeeping e peacebuilding attraverso l’educazione, la formazione e l’assistenza sociale.

Ciononostante, solo pochi meccanismi sono stati sviluppati per rendere effettiva l’eguaglianza di genere, mentre l’occupazione e la situazione socioeconomica delle donne rimane ancora svantaggiosa in confronto a quella degli uomini, malgrado il Piano di Lavoro per l’Emancipazione Economica delle Donne. Notevoli progressi sono stati raggiunti riguardo alla violenza domestica e ai servizi per le vittime, grazie all’adozione della Legge sulla protezione contro la violenza domestica e lo sviluppo del Programma Nazione e del Piano di Azione contro la Violenza Domestica, ma la loro reintegrazione resta una sfida incalzante. Nel campo dell’educazione, il Ministero competente e i Comuni hanno implementato diverse attività per le ragazze meno abbienti (ad esempio, coprendo i costi di trasporto, approvando borse di studio, ecc.), mentre il Ministero del Lavoro e del Welfare Sociale organizza vari corsi di formazione. Sono state registrate una riduzione del tasso di analfabetismo e un più alto tasso di iscrizione scolastica, ma gli indicatori sull’accesso e sulla partecipazione ai vari livelli di educazione evidenzia ancora varie differenze di genere.

L’emancipazione femminile nel Kosovo non necessita solo di riforme legali per ridurre divari e limiti, ma deve anche essere affrontata con un’approfondita analisi di contesto e culturale, specialmente nelle aree rurali, per identificare le sfide concernenti la percezione del ruolo delle donne sia all’interno che all’esterno della famiglia, in politica, nel mondo imprenditoriale e così via.

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CONCLUSIONE

Durante l’UN Global Open Day on “Women, Peace and Security” tenuto a Pristina nel 2018, i partecipanti provenienti dalle organizzazioni internazionali, dalla politica e dalla società civile hanno riconosciuto i risultati fino a quel punto raggiunti; allo stesso tempo, tuttavia, hanno sottolineato la necessità di ulteriori sforzi per assicurare l’eguaglianza a tutti i livelli, per superare i pregiudizi tipici della mentalità maschilista e per rafforzare la consapevolezza circa il potenziale della leadership, della rappresentanza politica e del decisionismo delle donne.

L’esperienza del Kosovo dimostra come a volte, anche di fronte a un avanzato quadro legale e istituzionale, non c’è un’immediata risposta da parte della popolazione, in quanto il contesto culturale necessita di più tempo per adattarsi a cambiamenti importanti. La questione dell’emancipazione femminile nel Kosovo non necessita solo di riforme legali per ridurre divari e limiti, ma deve anche essere affrontata con una approfondita analisi di contesto e culturale, specialmente nelle aree rurali, per identificare le sfide concernenti la percezione del ruolo delle donne sia all’interno che all’esterno della famiglia, in politica, nel mondo imprenditoriale e così via.[:

I pregiudizi tradizionali possono essere superati rafforzando la prospettiva di genere nei programmi educativi, in modo da promuovere l’eguaglianza tra uomini e donne nella dignità e nella libertà di scelta. Questo è ancor più vero nello specifico contesto del Kosovo, dove le donne non stanno solo cercando di emanciparsi da una visione patriarcale, ma continuano a dover fare i conti con le conseguenze della guerra, dove sono state direttamente prese di mira dai combattenti.

Affrontare l’impatto della violenza sulle donne è di primaria importanza per il percorso di riconciliazione e per arrivare a una pace durevole; pertanto qualsiasi processo di peacebuilding non può trascurare la dimensione di genere e deve assicurare l’equa partecipazione e il pieno godimento dei diritti alle ragazze e alle donne, nonché il loro pieno coinvolgimento nel mantenimento e nella promozione della pace e della sicurezza. A questo proposito, si spera che l’implementazione del nuovo PKEG 2020-2024 e il Piano di Azione 2020-2022 porti ad una svolta.

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Giona Michele Scilla è uno Studente del Master in Diplomazia Culturale all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Questo articolo è stato pubblicato sotto l’egida del progetto Enhancing Women’s Participation in Peace and Security (WEPPS), il cui obiettivo è quello di rafforzare l’efficacia e l’impatto dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza in Italia, Nord Africa e nei Balcani Occidentali. Il progetto WEPPS è realizzato dal gruppo ERIS (Emerging Research in International Security) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Agenzia per il Peacebuilding. È finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.