INTRODUZIONE: L’IMPEGNO DELLA UE PER LA RISOLUZIONE 1325 ALLA PROVA LIBICA
Fin dall’inizio delle trattative di pace, le donne libiche sono state in prima linea, chiedendo di partecipare in modo significativo al processo di pace. Tuttavia, le donne sono state marginalizzate, escluse e sottorappresentate nei negoziati di alto livello. Poiché quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’adozione della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Donne, Pace e Sicurezza (DPS) – una delle più mediatiche e celebri tra le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza – è ora più che mai fondamentale prendere una posizione su come l’agenda è stata implementata, compresa l’importanza che il pieno coinvolgimento delle donne nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace, ha e può contribuire in modo significativo al mantenimento e alla promozione della pace e della sicurezza internazionale.
“Dalla mia esperienza in Libia, so che l’unico requisito valido per accedere ai negoziati di pace è possedere una pistola.”
Dr.Alaa Murabit, fondatrice dell’organizzazione The Voice of Libyan Women
Nel 2008, l’Unione Europea (UE) è diventata la prima organizzazione multilaterale regionale a riconoscere ufficialmente l’agenda Donne Pace e Sicurezza e a inserirla al centro della sua politica estera, incluse la gestione delle crisi e la mediazione. Questo non sorprende: l’identità stessa della UE è strettamente legata al fatto che sia vista come uno dei progetti di pace di maggior successo della storia moderna, e un attore fondamentale nella promozione dell’uguaglianza di genere. Tuttavia, sappiamo ancora relativamente poco su come l’agenda Donne, Pace e Sicurezza venga implementata dall’UE nei processi di pace.
Pertanto, la Libia offre un interessante caso di studio per esplorare l’implementazione dell’agenda Donne, Pace e Sicurezza. In primo luogo l’UE ha mostrato un impegno costante per la pace e la stabilità del paese; inoltre, l’inclusione delle donne nei processi di pace in paesi in stato di conflitto, è una delle principali priorità della strategia della UE in materia di risoluzione dei conflitti e di mediazione.
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L’APPROCCIO DELL’UE A SOSTEGNO DELLA PARTECIPAZIONE DELLE DONNE NEL PROCESSO DI PACE IN LIBIA
Nove anni dopo la rivoluzione libica e la sconfitta di Gheddafi, la Libia sopporta ancora il peso di un conflitto armato in corso e di un-insicurezza crescente in tutto il paese, con difficoltà nel porre fine a un circolo vizioso di violenza tra diverse fazioni, gruppi jihadisti, milizie armate e ingerenze esterne. Dopo diversi cicli di negoziati “esclusivi” (ovvero ristretti solo a pochi rappresentanti politici), che hanno fallito nel risolvere il conflitto, la prospettiva di una pace duratura ha lasciato spazio a un forte scetticismo sulle possibilità di risolvere la guerra. I negoziati libici, mediati sotto l’egida della Missione di Sostegno dell’ONU in Libia (UN Support Mission in Libya, o UNSMIL), hanno attraversato molteplici fasi, e durante l’intero processo l’UE ha lavorato a stretto contatto con la missione dell’ONU, sostenendo appieno il processo di pace in Libia.
Nel discutere il coinvolgimento delle donne nel processo di pace libico, è necessario distinguere tra tre livelli di negoziazione (cosiddetti first, second e third tracks), con una partecipazione significativa che diventa più complessa e articolata quanto più le donne si avvicinano ai livelli decisionali più elevati. Il primo livello (track 1) include le principali iniziative che fanno parte del processo di pace formale: l’Accordo politico libico del 2015 (l’accordo di pace più dettagliato siglato fino ad ora), la Conferenza di Palermo del 2018 e, infine, la Conferenza di Berlino tenutasi nel gennaio 2020. In queste trattative di alto livello, il ruolo dell’UE nel forgiare un processo più inclusivo, ovvero con la partecipazione delle donne libiche, è apparso debole. I rappresentanti politici della UE, davanti alla forte pressione di ottenere un cessate-il-fuoco immediato al fine di stabilizzare il paese, si sono concentrati sulla “promozione della pace negativa” nel processo di pace libico, mettendo da parte questioni come la rappresentanza delle donne.
In questi formati, il più delle volte solo le donne facenti parte “dell’’élite” hanno potuto accedere al dei negoziati, sollevando domande su cosa e chi rappresentano le donne di questo status e, ancor più importante, il reale impatto che le donne hanno sul processo di pace. Come hanno dimostrato le ricerche condotte da varie accademiche femministe sui processi di pace, l’esclusione delle donne da ogni fase riduce la loro capacità di influenzare in modo significativo il processo di costruzione della pace. Nel caso della Libia, come affermato da Zahra’ Langhi, esperta libica sulle questioni di genere e sui processi di mediazione dei conflitti, la loro esclusione rappresenta ulteriormente un “paradosso di genere”: le donne sono, infatti, hanno giocato un ruolo attivo e centrale nella rivoluzione, ma sono state escluse dai centri politici nella fase di ricostruzione post-Gheddafi.
L’approccio dell’UE a sostegno della partecipazione delle donne alla pace e alla sicurezza in Libia si è concentrato principalmente sulla creazione e sul finanziamento di percorsi separati o informali per le donne. Questi progetti, che rientrano in generale nel secondo e terzo livello di negoziazione (second e third tracks), si concentrano più sulla risoluzione del conflitto a livello locale, con l’obiettivo di contribuire al processo di negoziazione ad alto livello facilitato dalle Nazioni Unite. Una nota positiva è come queste iniziative sul campo hanno preso in considerazione un approccio intersezionale, concentrandosi sulle dimensioni di genere delle tribù libiche, le disuguaglianze strutturali di genere e le diverse specificità locali del contesto libico. A questo livello, le donne libiche hanno lavorato con successo contro l’estremismo violento e hanno contribuito alla firma di diversi cessate-il-fuoco locali, creando un dialogo forte e capace di promuovere la convivenza pacifica e l’inclusione nelle loro rispettive comunità.
Tuttavia, sebbene questi spazi siano stati vitali e cruciali per proporre soluzioni nella conciliazione di tregue a livello locale, essi sono stati trascurati dai principali attori politici, ovvero i leader coinvolti nei negoziati formali, quelli del primo livello. E dopo cinque anni marcati da fasi continue di violenza e ripetuti fallimenti di questi negoziati, è ormai chiaro che i progressi compiuti nel risolvere conflitti al secondo e terzo livello non hanno sostanzialmente influenzato il processo di pace formale. Inoltre, scegliendo questo approccio, si rischia di rafforzare l’idea che le donne debbano essere coinvolte in spazi separati e creati ad hoc per loro, perpetuando conseguentemente un circolo vizioso di esclusione dai colloqui di pace diretti.
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CONCLUSIONE: DALL’ESCLUSIONE ALL’INCLUSIONE
I colloqui di pace libici sono ancora un processo ‘esclusivo’, in cui i principali attori sono rappresentati da uomini, ad eccezione di poche donne facenti parte dell’élite. Sebbene ciò rappresenti una lacuna nell’approccio dell’UE, tuttavia l’esclusione delle donne dai colloqui diretti di pace non dovrebbe essere vista come l’intera responsabilità dell’Unione: UNSMIL, gli altri attori principali presenti ai tavoli di pace, e le principali potenze rivali, non si sono finora assunti la piena responsabilità di garantire che le donne possano partecipare in modo significativo ai negoziati. In questo contesto, è opportuno considerare come anche che la situazione dei diritti delle donne in Libia, insieme alla militarizzazione, le norme patriarcali, l’insicurezza e le questioni culturali del paese, ha avuto un impatto negativo sull’implementazione dell’agenda Donne, Pace e Sicurezza nei più ampi sforzi di mediazione della UE.
Il processo di pace libico è un esempio di tentativi di mediazione falliti e accordi di pace interrotti, risultati radicati in forme mascolinizzate di potere, interessi esclusivi in materia di sicurezza e un’attenzione ristretta alle questioni militari.
L’esempio della Libia ci porta così a due principali conclusioni su come riflettere su nuovi e futuri spazi per creare un processo di pace inclusivo, non solo nel contesto libico, ma anche in altri processi di pace dove l’UE è (e sarà) coinvolta anche in futuro.
In primo luogo, il processo di pace libico è un esempio di tentativi di mediazione falliti e accordi di pace interrotti, risultati radicati in forme mascolinizzate di potere, interessi esclusivi in materia di sicurezza e un’attenzione ristretta alle questioni militari, che lascia presagire che questi modelli di mantenimento della pace non funzionano. Guardando al futuro della transizione post-bellica libica, l’esclusione delle donne dal processo di pace causerà un fragile equilibrio nella società libica. La presenza delle donne al tavolo è quindi fondamentale non solo per garantire e raggiungere una pace sostenibile e duratura, ma anche per trasformare le relazioni di potere di genere e le disuguaglianze che hanno caratterizzato la società libica.
In secondo luogo, esiste un divario critico tra gli ambiziosi impegni politici della UE in materia di Donne, Pace e Sicurezza, che si focalizzano sulla partecipazione diretta delle donne nei processi formali di pace, e l’implementazione dell’agenda a livello pratico in Libia. I diplomatici della UE sono visti come attori fondamentali nell’implementazione dell’agenda Donne, Pace e Sicurezza e, soprattutto, hanno il potere di creare ponti tra i gruppi di donne che lavorano sul piano locale e la leadership delle parti in conflitto. Un strategia istituzionale più chiara e una maggiore volontà politica nel promuovere l’inclusione delle donne ai tavoli di pace fin dalle origini sarebbero stati fondamentali nel garantire la partecipazione delle donne ai negoziati di pace libici.
Poiché i negoziati sono ancora in corso, l’UE si trova nella posizione unica di poter rafforzare i suoi sforzi diplomatici e di mettere al centro della sua strategia la leadership delle donne libiche in materia di pace e sicurezza. Nella Libia di oggi, le donne sono più che mai necessarie come parti interessate e agenti di cambiamento, per porre fine al conflitto e costruire una pace giusta, sostenibile e rispettosa della prospettiva di genere.
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Federica Tronci si è recentemente laureata dalla London School of Economics and Political Science, dove ha svolto ricerca sulla mediazione dell’Unione Europea, su Donne, Pace e Sicurezza e sulla violenza di genere in contesti di conflitto nel Medio Oriente e Nord Africa.
Questo articolo è stato pubblicato sotto l’egida del progetto Enhancing Women’s Participation in Peace and Security (WEPPS), il cui obiettivo è quello di rafforzare l’efficacia e l’impatto dell’Agenda Donne Pace e Sicurezza in Italia, Nord Africa e Balcani occidentali. Il progetto WEPPS è realizzato dal gruppo ERIS (Emerging Research in International Security) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Agenzia per il Peacebuilding. È finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.